Avete  ricevuto una notifica di pagamento? Ecco cosa fare…

Ricevere una cartella per una notifica esattoriale  non è mai piacevole, anzi. Ma cosa fare quando, purtroppo, ci si ritrova in questa situazione?

 

Ormai lo diciamo da tempo. Quando si hanno dei problemi l’unico errore da non commettere è quello di rimanere inermi e non fare nulla, sperando che i guai si risolvano da soli con il passare del tempo.

 

Pratici consigli per chi riceve una notifica esattoriale

Il manuale d’uso su cosa fare se si riceve una notifica di Equitalia di pagamento non è mai stato scritto, anche se le soluzioni che si prospettano al contribuente sono solo tre :

1) Pagare  e mettere tutto a tacere (magari sfruttando la possibilità di chiedere una dilazione).

2) Presentare un ricorso sperando che il giudice, dopo aver sospeso l’esecutività della cartella, vi dia ragione.

3) Accedere agli atti ed identificare gli errori di Equitalia, società per azioni i cui soci sono inspiegabilmente occulti. Provate a chiedere una camerale di questa società e troverete un blocco! Provare per credere.

 

Cosa rischiate? Un  pignoramento!

Ovviamente, chi ha più ragione a muoversi una volta che riceve una notifica  è chi ha qualcosa da perdere. Chi ha un conto in banca, una casa o terreni, chi possiede una pensione superiore al minimo, chi ha un’attività commerciale e così via. Insomma, tutti coloro che non sono veri evasori fiscali. Perché i veri evasori (in primis le multinazionali che usano Leggi Europee per non pagare le tasse in Italia!) non hanno certamente paura delle varie esattorie.

 

Quante possibilità di vittoria ci sono se  presentiamo un ricorso?

Anzitutto è necessario capire se è lecito un eventuale ricorso. È sufficiente un semplice (ed economico) accesso agli atti. Evitate gli avvocati che subito voglio presentare i ricorsi. I ricorsi costano e comunque vada la causa il legale avrà diritto alla parcella. Attraverso una semplice e veloce procedura è possibile comprendere il cosiddetto «merito» del debito. L’entità dell’imposta, i criteri di calcolo, l’esistenza del debito e il pagamento già estinto sono tutte contestazioni che andavano fatte prima. Quando la pubblica amministrazione ha notificato la prima richiesta di pagamento. Questo, come è facile intuire, taglia le gambe a una serie di eccezioni che potevano essere sollevate in prima battuta.  Tuttavia, se la cartella dovesse essere il primo atto notificato al contribuente (o se quel famoso primo atto dell’ente creditore non dovesse essere mai arrivato a destinazione), allora si potrebbe fare ricorso. L’accesso agli atti consente di annullare nell’ottantadue per cento dei casi la cartella a causa delle irregolarità e le mancate notifiche. 

 

Opporsi alla cartella per prescrizione o decadenza del debito

Una cartella esattoriale, ovvero la notifica  per il pagamento, non può arrivare quando vuole lei, ma deve rispettare stringenti regole.

1) Il termine di decadenza. Si tratta del termine massimo che deve intercorrere tra la data in cui l’ente creditore ha “iscritto a ruolo” il proprio credito e la notifica della cartella esattoriale. Questa data non può essere interrotta o sospesa con solleciti di pagamento: o si rispetta o non si rispetta. La decadenza varia da due a quattro anni a seconda del tributo. Ad esempio, per quanto riguarda Irpef e Iva, la cartella deve essere notificata, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del 

  • Secondo anno successivo a quello in cui l’accertamento è divenuto definitivo.
  • Terzo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, in caso di liquidazione automatica.
  • Quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, in caso di controllo formale.

Per quanto riguarda Imu, Tasi, Tari, Ici e bollo auto, la decadenza si verifica al 31 dicembre del terzo anno successivo a quello in cui l’accertamento è divenuto definitivo.

2) La prescrizione. Può sempre essere interrotta con una diffida o con la stessa notifica della cartella di pagamento. I termini, anche in questo caso, variano da tributo a tributo.

  • 10 anni per Iva, Irpef, Canone Rai, Camera di Commercio.
  • 5 anni per Imu, Tasi, Tari, sanzioni, multe stradali, contributi previdenziali Inps e Inail.
  • 3 anni per il bollo auto.

Se la cartella non rispetta questi termini può essere contestata. Non sperate che sia l’agente della riscossione a cancellare da sé la cartella: di solito non lo fa neanche se gli inviate una richiesta di annullamento in autotutela. Dovete ricorrere al giudice, ossia fare una causa. Oppure potete fare finta di nulla e aspettare che arrivi un pignoramento, per poi opporvi contestando la prescrizione. Questa soluzione ha il vantaggio di non costringervi ad anticipare soldi. Peraltro è tutt’altro che scontato che l’esattore avvii un pignoramento accorgendosi di cartelle prescritte.

 

Mancata notifica dell’atto 

Un’altra contestazione tipica è quella per difetto di notifica dell’atto di accertamento sulla base del quale è stata poi formata la cartella. A volte infatti la notifica viene regolarmente eseguita, ma le prove si smarriscono o non viene compiuta correttamente tutta la trafila “burocratica” imposta dalla legge. Tipico è il caso della notifica alla casa comunale per chi, al momento dell’arrivo del messo notificatore o del postino, non si trovava a casa. In tali ipotesi bisognerebbe inviare al contribuente una seconda raccomandata con l’avviso di giacenza al Comune (oppure all’ufficio postale), ma non sempre succede o spesso si smarrisce. 

Se non fate nulla ecco cosa rischiate 

Chi non paga si sottopone al rischio di un pignoramento. Pignoramento che non è scontato: l’esattore non è sempre così efficiente e a volte si muove quando i propri crediti si sono prescritti. Ma se dovesse avviare il pignoramento dovrebbe rispettare alcune regole:

  • La casa (o qualsiasi altro immobile) si può ipotecare solo per debiti superiori a 20mila euro. Sempre previa notifica del preavviso di ipoteca 30 giorni prima.
  • L’abitazione (o qualsiasi altro immobile) si può pignorare solo per debiti superiori a 120mila euro. Questo solo a condizione che:

A) Non sia la prima casa (intesa come unico immobile, non di lusso, adibito a civile abitazione e di residenza).

B) La somma di tutti gli immobili del contribuente superi il valore di 120mila euro.

C) Si è iscritta prima ipoteca e sono decorsi 6 mesi.

  • Il conto corrente su cui è depositato lo stipendio o la pensione si può pignorare entro determinati limiti:

A) quanto alle somme già depositate all’atto del pignoramento, solo per la parte che supera il triplo dell’assegno sociale (circa 1340 euro).

B) Quanto ai successivi versamenti: un decimo se inferiori a 2.500 euro, un settimo se inferiori a 5mila euro, un quinto se superiori a 5mila euro.

  • Lo stipendio può essere pignorato entro i limiti di un decimo se inferiore a 2.500 euro, un settimo se inferiore a 5mila euro, un quinto se superiore a 5mila euro.
  • La pensione può essere pignorata entro un decimo se inferiore a 2.500 euro, un settimo se inferiore a 5mila euro, un quinto se superiore a 5mila euro. Da tali importi va detratto il cosiddetto minimo vitale c,he è pari a una volta e mezzo l’assegno sociale (circa 690 euro).

 

 

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