Se un pensionato contrae un debito e non riesce a saldarlo, il creditore può rivalersi su di lui pignorando la pensione. Ma con limiti precisi.

Assicurato il «minimo vitale»

In base all’art. 13 del d.l. n. 83/2015: «Le somme da chiunque dovute a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione o di altri assegni di quiescenza, non possono essere pignorate per un ammontare corrispondente alla misura massima mensile dell’assegno sociale, aumentato della metà. La parte eccedente tale ammontare è pignorabile nei limiti previsti dal terzo, quarto e quinto comma nonché dalle speciali disposizioni di legge». Non è quindi possibile pignorare tutta la pensione, ma solo la parte eccedente l’assegno sociale e solo al massimo del quinto. Al pensionato viene così garantito il cosiddetto «minimo vitale» che gli permette di assicurargli un’esistenza dignitosa e decorosa.

Prelievo massimo di un quinto

La soglia si calcola considerando la pensione sociale (attualmente di 453 euro) aggiungendovi la metà (226,5 euro), quindi ottenendo l’importo 679,50 euro. Su una pensione che ammonta a mille euro, sarà possibile «attaccare» la somma eccedente i 679,5 euro, quindi 320,1 euro. Ma questa somma non potrà essere pignorata interamente, ma solo per un quinto. Quindi, al pensionato verranno trattenuto solo 64,1 euro.

Tutelati anche conti correnti
e accompagnamento

Se invece viene pignorato direttamente il conto corrente su cui la pensione viene normalmente accreditata: sul saldo anteriore al pignoramento possono essere pignorate tutte le somme eccedenti il triplo dell’assegno sociale (1.359 euro), mentre per accrediti di pensione alla data del pignoramento o successivi operano gli stessi limiti di cui si è parlato all’inizio (1/5 oltre il minimo vitale).

Quanto all’indennità di accompagnamento questa ha finalità assistenziali in relazione alla particolare situazione sanitaria patita dal beneficiario e deve ritenersi quale sussidio totalmente impignorabile (così come la pensione di invalidità).

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