La riabilitazione penale: come ripulire la fedina penale (art.178 c.p.)

 

La persona che desidera cancellare gli effetti di una condanna penale, ripulendo la sua fedina penale e tornando a essere (quasi) come un incensurato, può chiedere la riabilitazione: questa non è atto non di clemenza, ma di giustizia, dato che chi si trova nelle condizioni previste dalla legge ha un vero e proprio diritto alla riabilitazione.

In breve:

Le condizioni per ottenere la riabilitazione sono:

  1. decorso di un certo periodo di tempo (almeno 3 anni dalla espiazione / estinzione della pena)
  2. buona condotta
  3. pagamento delle spese processuali e degli obblighi risarcitori derivanti dal reato (obbligazioni civili)
  4. Prima di procedere conl’istanza per riabilitazione, conviene fare richiesta di copia del casellario penale (fedina penale) e della visura, chiedendo presso il tribunale copia della sentenza di condanna.Sarà poi indispensabile contattare l’Ufficio Spese di Giustizia del Tribunale (per capire a quanto ammontano e come pagare spese processuali) nonché le vittime e i danneggiati del reato (per concordare un risarcimento, meglio se per iscritto e con raccomandata).La riabilitazione si può richiedere anche personalmente, ad esempio utilizzando il fac simile in calce, senza cioè la necessità di rivolgersi ad un avvocato (con i rischi del .. fai da te).

L’istituto è incentrato sul requisito della “buona condotta” che si richiede che il condannato abbia posto in essere per la durata di un certo periodo di tempo, ha funzione premiale e promozionale, in vista della risocializzazione del reo. Per un verso, infatti, la riabilitazione costituisce, per tutto il periodo del tempo di “prova” tra condanna e momento in cui può essere richiesta, un incentivo, producendo sul condannato un effetto di educazione e di creazione di abitudine al rispetto della legge. Tale effetto permane, sia pure ridotto, anche dopo la concessione della riabilitazione, per il periodo di tempo nel quale essa è soggetta a revoca: periodo nel quale, infatti, il riabilitato sarà incentivato, se non a mantenere una buona condotta in senso ampio, quanto meno a non commettere gravi delitti, al fine di non perdere il beneficio guadagnato.

Per altro verso, la concessione della riabilitazione premia il condannato per la condotta positiva tenuta, estinguendo gli effetti penali “residuali” alla data in cui si realizzano i presupposti per la concessione del beneficio. Per effetti della condanna si intendono qui, per semplicità  egli elementi ulteriori rispetto alla pena principale, caratterizzati da natura sanzionatoria, che rispondono alla finalità di prevedere una conseguenza pregiudizievole nei confronti dell’interessato con finalità punitiva o di tutela di specifici interessi pubblici.

Condizioni per la riabilitazione penale

A norma dell’art. 179 Codice penale, la riabilitazione è concessa ove sussistano talune positive condizioni e sempre che non ricorrano situazioni ostative. Stabilisce infati la legge che “la riabilitazione è conceduta quando siano decorsi almeno tre anni dal giorno in cui la pena principale sia stata eseguita o si sia in altro modo estinta , e il condannato abbia dato prove effettive e costanti di buona condotta. Il termine è di almeno otto anni se si tratta di recidivi, nei casi preveduti dai capoversi dell’articolo 99. Il termine è di dieci anni se si tratta di delinquenti abituali, professionali o per tendenza (..)

Qualora sia stata concessa la sospensione condizionale della pena ai sensi dell’articolo 163, primo, secondo e terzo comma, il termine di cui al primo comma decorre dallo stesso momento dal quale decorre il termine di sospensione della pena.

La riabilitazione non può essere conceduta quando il condannato:

  1. sia stato sottoposto a misura di sicurezza , ovvero di confisca, e il provvedimento non sia stato revocato;
  2. non abbia adempiuto le obbligazioni civili derivanti dal reato, salvo che dimostri di trovarsi nell’impossibilità di adempierle.”

Le condizioni per la riablitazione sono dunque

  • passaggio del tempo 
  • la buona condotta 
  • la non sottoposizione a misure di sicurezza 
  • l’adempimento delle obbligazioni civili 

 

IN PAROLE SEMPLICI

 

Il passaggio del tempo

In primo luogo, la concessione del beneficio richiede quindi  il decorso di un certo tempo, diversamente modulato a seconda della pericolosità sociale del condannato, a partire dall’esecuzione o dall’estinzione della pena principale inflitta con la condanna. Quanto all’esecuzione della pena principale, essa si compie nel giorno in cui il condannato ha finito di scontare la pena detentiva(oppure ha finito di scontare le misure alternative o sostitutive inflittegli in sostituzione), ovvero ha esaurito il pagamento della pena pecuniaria (o ha terminato di scontare le sanzioni nelle quali la pena pecuniaria sia stata convertita, perché non eseguita per insolvibilità del condannato stesso). Nell’ipotesi di applicazione di pena detentiva congiunta a quella pecuniaria, ai fini del calcolo del termine previsto per la riabilitazione occorre avere riguardo alla data di esecuzione di entrambe le pene, perché entrambe contribuiscono, allo stesso titolo, a costituire la pena principale del reato (C., Sez. I, 1.2.2011; C., Sez. I, 15.10.2004).

Nel caso di prescrizione della pena, di amnistia impropria e di indulto, il termine decorre, rispettivamente, dal compimento del periodo stabilito dagli artt. 172 e 173, ovvero dalla data della entrata in vigore del decreto che concede l’amnistia o l’indulto. L’estinzione della pena per grazia si verifica nella data in cui entra in vigore il decreto presidenziale che la concede. Il maggior termine previsto dall’art. 179 cpv. per la concessione della riabilitazione ai recidivi qualificati decorre, nel caso di pluralità di sentenze di condanna, dalla data in cui la pena inflitta con l’ultima di esse è stata espiata o si è altrimenti estinta (C., Sez. II, 16.1.1976), anche se la recidiva sia stata riconosciuta con una sentenza precedente (C., Sez. V, 28.1.1997; C., Sez. I, 22.12.1992). In caso di affidamento in prova al servizio sociale, il termine decorre dal momento in cui la prova si sia conclusa.

 

 

La buona condotta

Proseguendo nell’analisi delle positive condizioni necessarie per la concessione della riabilitazione, va ora esaminato il requisito della “buona condotta“, di cui l’art. 179/1 c.p.. richiede che il condannato abbia dato “prove effettive e costanti” dalla esecuzione / estinzione della pena alla concessione della riabilitazione. Il concetto di buona condotta va riferito esclusivamente alle esigenze del diritto penale, intendendolo come sinonimo di «risocializzazione», cioè conformazione da parte del reo del successivo comportamento ai precetti del vivere civile (esempi: occupazione lecita e stabile, tenore di vita onesto e corretto, l’abbandono assoluto di ogni frequentazione o rapporto  illecito,  ecc.). Devono essere oggetto di valutazione attenta e complessiva le mere denunce o querele da cui il condannato sia successivamente stato colpito, e ciò in ragione della presunzione di non colpevolezza, la semplice esistenza di una o più denunce e la sola pendenza di un procedimento penale a carico per fatti successivi a quelli per i quali è intervenuta la condanna cui si riferisce l’istanza medesima (C., Sez. I, 26.11.2014-15.4.2015, n. 15471; C., Sez. I, 1.2.2012, n. 6528; C., Sez. I, 8.5.2008). Per la precisazione, però, che la domanda di riabilitazione può essere rigettata anche sulla base della valutazione di fatti criminosi commessi dall’istante e storicamente accertati che non abbiano formato oggetto di una pronuncia di condanna (ma ad esempio, come nel caso di specie, siano stati definiti con l’oblazione) si legga C., Sez. I, 10.2.2009.

 La non sottoposizione a misure di sicurezza

L’art. 179 c.p. prevede due condizioni ostative alla concessione della riabilitazione. La prima è costituita dalla circostanza che il condannato sia stato sottoposto a misura di sicurezza diversa dalla espulsione dello straniero dallo Stato o dalla confisca e il provvedimento non sia stato revocato (art. 179, 6° co., n. 1). La attuale sottoposizione a misura di sicurezza segnala infatti la perdurante pericolosità sociale del condannato, la quale, secondo la valutazione del legislatore, inevitabilmente smentisce la sussistenza del necessario requisito della buona condotta ; specularmente, l’avvenuta revoca della misura eventualmente disposta sancisce la cessata pericolosità del soggetto e determina, dunque, il venir meno della preclusione alla riabilitazione.

Il mancato adempimento delle obbligazioni civili (risarcimenti e spese di giustizia)

La seconda condizione ostativa alla riabilitazione consiste nel mancato adempimento delle obbligazioni civili derivanti dal reato, in assenza della prova da parte del condannato di essersi trovato nell’impossibilità di adempierle (art. 179/6 n. 2 codice penale): ciò costituisce una applicazione specifica della dimostrazione della buona condotta che il riabilitando deve fornire. Il primo sintomo dell’avvenuta risocializzazione del condannato, infatti, è costituito dal positivo interessamento di quest’ultimo nei confronti dell’offeso dal reato, concretatosi nella fattiva riparazione delle conseguenze determinate dalla propria condotta illecita; viceversa, l’assenza ingiustificata di qualsivoglia interessamento in tal senso costituisce sintomo del mancato processo di risocializzazione. Le obbligazioni civili derivanti dal reato sono quelle indicate negli artt. 185 ss.: l’obbligo del risarcimento del danno e delle restituzioni, ma anche la pubblicazione della sentenza come forma di riparazione del danno e quello di rifondere allo Stato le spese processuali (cd. spese di giustizia). L’obbligo di adempiere le obbligazioni civili derivanti da reato rileva anche qualora esse non siano richieste (ad es. con la costituzione di parte civile) nè siano state dichiarate né dalla sentenza penale di condanna, oggetto della richiesta riabilitazione, né da alcun’altra sentenza, penale o civili.

Ciò perché è condizione prevista dalla legge e discendente dal fatto stesso del reato, sicché non occorre che essa risulti dalla sentenza di condanna.

La Suprema Corte addossa quindi al condannato, nel caso che la persona danneggiata non abbia avanzato richieste risarcitorie, l’onere di assumere l’iniziativa della consultazione con quest’ultima per l’individuazione di un’adeguata offerta riparatoria, eventualmente in via equitativa per il ristoro degli interessi della collettività. Sono ininfluenti, ai fini della valutazione dell’impossibilità di adempiere le obbligazioni civili derivanti dal reato, sia la circostanza che le persone offese non si siano costituite parte civile nel processo sia che esse non abbiano chiesto al condannato un ristoro dei danni patiti a causa della sua condotta di reato. Anche in relazione ad una sentenza di patteggiamento, il giudice è tenuto ad accertare se il condannato che richiede il beneficio si sia in qualche modo attivato al fine di eliminare le conseguenze civilistiche derivate dalla sua condotta criminosa ovvero quali siano le ragioni per le quali il medesimo sia stato nella impossibilità di adempiere le obbligazioni civili nascenti dal reato ascrittogli.

L’eventuale impossibilità di adempimento delle obbligazioni civili sussiste quando il condannato pur non essendo indigente, non dispone di mezzi patrimoniali che gli consentano di eseguire il risarcimento stesso senza subire un sensibile sacrificio o le parti offese abbiano rinunciato al risarcimento oppure siano irreperibili. In particolare, nel senso che non è necessario che l’interessato versi in stato assoluto di povertà, ma è sufficiente che non possa adempiere senza subire un sensibile sacrificio per sé o per la propria famiglia, senza che però sia sufficiente ad es. la circostanza dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato.

La dichiarazione di fallimento del debitore e la successiva sua ammissione al concordato fallimentare, poi omologato ed eseguito, costituiscono prova dello stato di insolvenza dello stesso e della di lui impossibilità di adempiere in maniera integrale anche le obbligazioni civili nascenti dal reato, ma solo con riferimento al periodo di tempo immediatamente contiguo alla chiusura della procedura fallimentare. In ogni caso, sussiste a carico dell’interessato uno specifico onere probatorio di avere fatto quanto in suo potere per adempiere alle obbligazioni civili derivanti dal reato ovvero di dimostrare la impossibilità di adempiervi (C., Sez. I, 4.5-18.9.2012, n. 35630; C., Sez. I, 2.12.2005; C, Sez. I, 30.3.2004; C., Sez. V, 8.10.1999; C., Sez. V, 5.2.1974).

Effetti

La riabilitazione estingue le pene accessorie nonché ogni altro effetto penale della condanna.

A seguito della sua dichiarazione, dunque, viene meno ogni effetto penale della condanna che permanga alla data della concessione della riabilitazione. La locuzione “altri effetti penali” è intesa da parte della giurisprudenza in senso lato, come onnicomprensiva di ogni effetto – anche se di natura civile o amministrativa – indefettibilmente derivante dalla sentenza di condanna e idoneo a diminuire la capacità giuridica del condannato. In particolare, la riabilitazione rimuove: l’interdizione dai pubblici uffici (artt. 19, 28 e 29 c.p.) e da una professione o un’arte (artt. 30 e 31); la perdita o la sospensione dall’esercizio della patria potestà (art. 34); la perdita del diritto agli alimenti (art. 433 c.c.) e dei diritti successori verso l’offeso (art. 456 c.c.), in relazione a quanto previsto dall’art. 609 nonies. Essa, inoltre, impedisce la valutazione della condanna agli effetti della recidiva e della dichiarazione di abitualità e professionalità del reato (art. 106, 2° co.) e, positivamente, determina l’estinzione della dichiarazione di abitualità e professionalità nel reato e della dichiarazione di tendenza a delinquere (art. 109, ult. co. C.p.p.); reintegra il condannato nel diritto a ottenere l’amnistia e l’indulto la cui concessione sia condizionata alla mancanza di precedenti condanne; impedisce la considerazione della condanna ai fini dell’integrazione della contravvenzione di cui all’art. 707.

L’intervenuta riabilitazione restituisce il diritto di elettorato attivo ai condannati a pena che importa la interdizione perpetua dai pubblici uffici, i quali ne sono privi ai sensi dell’art. 2, lett. d, D.P.R. 20.3.1967, n. 223 (t.u. sulla disciplina dell’elettorato attivo e sulla tenuta e revisione delle liste elettorali) (C., Sez. I, 17.1.2006), nonché il diritto al condannato ad ottenere l’autorizzazione all’attività di mediazione di veicoli usati e l’iscrizione nel registro degli esercenti il commercio (art. 5, L.P. 24.10.1978, n. 68) (T.A.R. Trentino Altro Adige-Bolzano 17.2.2005).

L’effetto tipico della riabilitazione, in definitiva, riguarda la capacità giuridica del condannato, la quale, intaccata dalla sentenza di condanna, viene reintegrata nella sua pienezza per effetto della causa estintiva in esame, rimettendosi in tal modo il reo in condizione di operare nella società nella posizione antecedente alla pronuncia di penale responsabilità .

Attenzione però: la riabilitazione NON fa tornare NULLO il casellario giudiziale penale (cioè la fedina penale), ma aggiunge alla annotazione della condanna la specificazione che è intervenuta riabilitazione. Ecco perchè la riabilitazione fa tornare “quasi” incensurati.

 

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