Spese processuali per un nullatenente.

Siete senza soldi per pagare le spese processuali all’avversario della causa dopo la sentenza di condanna: cosa si rischia a non pagare ?

Che un nullatenente non rischi molto quando ha debiti è cosa nota a tutti.

In Italia, non si va in carcere quando non si hanno soldi a sufficienza per pagare**** . Tutt’al più, alla morte del debitore, l’obbligazione si trasmetterà ai suoi familiari (ammesso che questi accettino l’eredità).

Ma cosa succede se l’ordine di pagamento arriva direttamente da un Giudice e, in particolare, da una sentenza di condanna alle spese processuali? Il nullatenente, in questo caso, rischia qualcosa? 

Bisogna fare un passo indietro per comprendere cosa succede quando, al termine di una causa, il giudice emette la condanna e questa viene notificata alla parte soccombente. Da qui, infatti, in caso di inadempimento, parte un’ulteriore procedura detta «esecuzione forzata» rivolta a recuperare, “con la forza”, i soldi spettanti al creditore. È il cosiddetto «pignoramento», diventato ormai una strada obbligata dopo ogni processo. Ma procediamo con ordine e vediamo se è possibile – ed eventualmente come – recuperare le spese processuali dal nullatenente e cosa, invece, deve temere chi è senza soldi per pagare tali spese processuali.

 

Cosa succede dopo la pubblicazione della sentenza? 

Dopo che il giudice deposita la sentenza in cancelleria, il cancelliere ne dà comunicazione agli avvocati delle parti, inviando loro una pec con la copia in pdf della pronuncia.

Con la sentenza, il giudice non decide solo chi ha ragione e chi ha torto, ma anche sulle cosiddette “spese processuali”: stabilisce cioè la misura dell’importo che quest’ultima deve pagare alla prima a titolo di rimborso di tutti i costi sostenuti per la causa, compresa la parcella dell’avvocato. Tale parcella viene determinata sulla base di un decreto ministeriale del 2012 che stabilisce le tariffe professionali applicabili appunto in caso di condanna alle spese di giudizio.

L’avvocato della parte vincitrice chiede una copia della sentenza e la notifica all’avvocato della parte avversaria, nonché al suo cliente. Questa seconda notifica serve per intimare alla parte soccombente l’adempimento degli ordini contenuti nella pronuncia e, in particolare, il pagamento delle somme ingiunte. Tra queste, vi è, pertanto, anche la condanna alle spese processuali.

Se il debitore non adempie, la controparte gli notifica il cosiddetto atto di precetto con cui gli dà altri 10 giorni per far fronte ai propri obblighi. Dall’undicesimo fino al novantesimo giorno successivo alla notifica del precetto, il creditore può procedere con il pignoramento dei beni del debitore al fine di recuperare le somme a lui dovute.

COSA DEVE SAPERE IL DEBITORE

Esiste un registro pubblico, l’anagrafe tributaria, che consente al creditore che abbia già notificato il precetto, di verificare telematicamente i redditi e le proprietà del debitore (ad esempio immobili, stipendi, pensioni, conti corrente, ecc.).In questo modo, la ricerca dei beni da pignorare non diventa una caccia al tesoro, ma il creditore può procedere a colpo sicuro.

Se la parte soccombente è nullatenente non esistono armi dirette per agire contro di lei. In teoria, bisognerebbe attendere che la sua situazione patrimoniale muti. Difatti, chi è nullatenente in un determinato momento non è detto che lo sia per sempre.

In tutto questo tempo, però, il creditore dovrà fare attenzione a non far prescrivere il proprio diritto: prima della scadenza di 10 anni dovrà, quindi, rinnovare l’atto di precetto o quantomeno inviare una diffida con raccomandata a.r. In altre parole, il credito potrà rimanere in piedi per tutta la vita del debitore e anche dopo la sua morte, nei confronti degli eredi (salvo che questi rinuncino all’eredità).

AVETE DEBITI ? ECCO COME COMPORTARVI DAL NONO ANNO IN POI PER FARLI PRESCRIVERE. 

Ricordatevi che non è possibile pignorare l’assegno di disoccupazione (attualmente chiamato Naspi), né è possibile agire su altri sostegni percepiti dallo Stato per le persone prive di reddito (ad esempio reddito di cittadinanza, contributi comunali per l’affitto, ecc.). Se la parte soccombente è invalida, non si può neanche pignorare l’assegno di invalidità versato dall’INPS.

NOTE:
*****
 Diverso è il caso di una condanna penale che preveda la possibilità di commutare la pena detentiva in pena pecuniaria: secondo la Cassazione, tale diritto non spetta quando il soggetto condannato non ha liquidità, come nel caso, ad esempio, di imprenditore condannato per evasione fiscale. In tal caso, quindi, il nullatenente che non può pagare va in carcere.


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